. . . "Dalla guerra alla luna 1945-1969. Sguardi dall'Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, Gallerie d'Italia (Torino)" . . "Gallerie d'Italia, 16/05/2022 - 04/09/2022" . . "Dalla guerra alla luna 1945-1969. Sguardi dall'Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo" . "Torino" . "20220516-20220904" . . "DIETRO UNA FOTOGRAFIA\n\tdi Aldo Grasso\n\t«Qual è il contenuto del messaggio fotografico? Che cosa trasmette la fotografia?». A queste domande Roland Barthes rispondeva che la fotografia, per definizione, rappresenta «il reale preso alla lettera». Vero è che il passaggio dalla realtà all'immagine esige un processo di proporzione ma questa riduzione, una miniaturizzazione, non è mai una trasformazione, specie se il fotoreporter non impone all'immagine un senso secondo (tutti quei processi legati alla fotogenia, all'estetismo, a una ideale sintassi riproduttiva). \n\tQueste parole, apparse nel 1961 sulla rivista \"Communications, sembrano scritte apposta per spiegare il lavoro di Publifoto, l'agenzia di Vincenzo Carrese che, a partire dal 1939, cercava di documentare qualsiasi tipo di evento e di fornire puntualmente all'editoria fotografie di cronaca, sport e attualità.\n\tI fotografi dell'agenzia (oltre a Carrese ricordiamo Fedele Toscani, Tino Petrelli, Peppino Giovi e Carlo Ancillotti) erano mossi dalla volontà di documentare gli eventi \"fuori norma\" che la cronaca suggeriva. La loro compagna più fedele era la fretta, spesso scortata dalla precarietà delle situazioni o dalla difficoltà di accedervi. La \"bellezza\" della fotografia consisteva spesso nel di più che l'immagine sapeva offrire rispetto alla pagina scritta.\n\tNel corso degli anni, qualcosa come sette milioni di fotografie si è intanto accumulato negli archivi. E qui si consuma un interessante paradosso linguistico perché il tempo è una formidabile macchina di senso, attua degli inimmaginabili procedimenti di connotazione, riesce a sublimare la cronaca in allegoria.\n\tQuando noi oggi cechiamo di scoprire cosa c'è dietro una fotografia è come se l'autorizzassimo ad animarsi, a raccontare, a svelarci un mondo che non conosciamo o di cui abbiamo perso la memoria. La fotografia ha ora raggiunto uno statuto di simbolicità con cui si consegna al \"sapere\" del lettore/visitatore, proprio come se si trattasse di una lingua, intellegibile solo a chi ne abbia appreso i segni, sia pure segni analogici.\n\tMeraviglioso paradosso: da oggetto \"inerte\" di cronaca la fotografia diventa linguaggio, da procedimento riproduttivo si trasforma in istituzione sociale." . . "mostra temporanea" .